2. Il borgo rurale diventa città
I primi passi furono quelli della ricostruzione. Il primo Sindaco del dopoguerra, Lio Lenzi, inizialmente nominato su proposta del CLN, poi confermato dalle elezioni amministrative del 1946, il 16 dicembre del ’44 scriveva al prefetto: servono baracche provvisorie per sostituire 94 case distrutte e 130 danneggiate. Famiglie senza più casa occuparono l’edificio militare nell’area oggi del Savoia Cavalleria e il Cassero delle Mura Medicee, nel lessico dei grossetani d’allora il Casermone e la Fortezza, oltre all’area cosiddetta “Sfrattati”. In un decennio furono approntati 396 alloggi.
Poi venne il tempo di uno dei piani regolatori più precoci, il Sabatini, nel 1959, e poi dell’esplosione delle periferie. Anche per Grosseto valgono le parole di Carlo Emilio Gadda:
la città si dilata, la città si estende. Gli urbanisti e sociologi, gli amministratori del Comune, gli impresari edili, i cultori di statistica, i tecnici dell’acqua potabile, del gas, della luce, del telefono parlano dello sviluppo della città…
Grosseto è passata da borgo rurale a città in un batter d’occhio, ma con un’idea di civile ordine. Renato Pollini, sindaco di un ventennio, dal 1951 al 1970, protagonista con le sue Giunte della grande trasformazione, l’attribuisce anche al buon governo locale; dalle sue carte si trae l’idea che urbanistica e politiche per la casa furono fra le sue priorità. Ma negli anni Cinquanta anche le campagne cambiano. La riforma fondiaria crea poderi e un nuovo sistema di strade, nuovi piccoli borghi con scuole rurali.
Poi comincia l’avventura della costa. Si popola di nuove costruzioni e strutture di servizio tutto il litorale provinciale, per l’area grossetana Marina di Grosseto diventa centro turistico. A pochi chilometri ne nasce uno completamente nuovo: Principina a mare.
Nel consiglio comunale siedono intellettuali capaci di incidere anche sulle politiche urbanistiche: Carlo Cassola, Giuseppe Dessì, Marcello Morante. Un’età dell’oro, ricorderà con orgoglio Pollini, decenni dopo. Fu possibile adattare le politiche della casa dell’Italia del nuovo welfare a una città che rischiava una crescita selvaggia, tanta era la sproporzione fra l’abitato precedente e l’estensione dell’area occupata in pochissimi anni dalle nuove periferie. Già dai programmi elettorali degli anni cinquanta e sessanta è palpabile un impegno e una visione molto moderna delle politiche della casa e in generale di quelle urbanistiche.